Forme di allevamento degli Olivi
L’Italia è sempre stata leader nella coltivazione di olivi ma negli ultimi anni questo titolo ha visto un repentino decadimento dovuto all’avanzamento tecnologico più insistente di altri paesi, primo tra tutti la Spagna.
Grazie alla maggior importanza data alla dieta mediterranea e al riconoscimento dell’alto valore nutrizionale dell’olio d’oliva, questa coltura sta vedendo un espansione evidente sia in paesi come Francia, Marocco e Tunisia, ma anche fuori dai confini del mediterraneo, tra i tanti: Nord America, Argentina e Australia.
Al contrario degli altri paesi, con appezzamenti di decine se non centinaia di ettari, l’Italia possiede un mosaico di piccole coltivazioni che utilizzano prevalentemente metodi tradizionali; questo retaggio è stato mantenuto sia per la longevità delle piante di olivo sia per l’estetica del paesaggio, dove l’olivo rappresenta un bene paesaggistico di notevole importanza.
Ma è anche vero che l’efficienza delle coltivazioni tradizionali è minima e spesso non vengono sfruttate al meglio le potenzialità delle piante.
Oliveto tradizionale
L’olivicoltura tradizionale è rappresentata, come detto, da aziende di piccole dimensioni con allevamenti estensivi, spesso con piante sparse residui di vecchi oliveti o di colture miste.
Molti altri sono stati mantenuti come tali per mancanza di possibilità di investimento da parte delle aziende ovvero per la ridotta conoscenza in merito ai nuovi metodi utilizzabili.
Generalmente questi impianti hanno meno di 200 alberi per ettaro e presentano un’elevata produttività per pianta, ma una bassa produttività per ettaro (piante grandi e bassa densità di impianto). Richiedono una bassa meccanizzazione, sia per le operazioni colturali che per la raccolta, e spesso i lavori vengono eseguiti da manodopera familiare, richiedendo comunque elevati costi di produzione.
Non tutte le situazioni sono confrontabili, si fa notare ad esempio che in Liguria per la presenza dei terrazzamenti e per la tipologia di allevamento, vengono coltivate in tradizionale circa 500 piante ad ettaro.
Oliveto intensivo
Questa tipologia di allevamento permette la coltivazione di olivi che vanno dai 250 ai 450 ad ettaro.
Questi impianti, ormai testati da anni, permettono alle diverse cultivar di esprimere il massimo potenziale di accrescimento e produzione mantenendo costi di produzione relativamente bassi. Le operazioni colturali richiedono maggior meccanizzazione che viene però gestita in modo più costante e calendarizzato.
Anche la raccolta viene eseguita prevalentemente con l’ausilio di macchinari, come lo scuotitore.
Per l’intensivo le piante hanno ancora spazio a disposizione per un buon accrescimento e stressando mediamente la pianta rispetto al metodo precedente.
Grazie alla elevata varietà di cultivar a disposizione è possibile disegnare le coltivazioni in modo che ogni pianta abbia a disposizione lo spazio necessario per esprimere le sue massime potenzialità. In questo caso si riduce la quantità di prodotto per pianta ma aumenta la produzione per unità di superficie.
Uno dei problemi principali è la mancata utilizzazione del suolo per i primi 5-10 anni in quanto le piante dovranno essere allevate e gestite in questi anni per raggiungere le dimensioni finali.
Il metodo di allevamento solitamente consigliato è la forma a vaso, con angoli delle branche più stretti del tradizionale, poiché permette la corretta meccanizzazione delle operazioni di raccolta, sia con lo scuotitore che con aste vibranti.
Questi allevamenti sono monitorati costantemente anche per quanto riguarda l’irrigazione; possono essere utilizzati impianti a goccia, a microaspersione e di subirrigazione per regolare correttamente i volumi irrigui.
Olivi coltura Superintensiva
Si basa essenzialmente sulle tipologie di allevamento utilizzate in Spagna, ormai paese “esperto” del superintensivo.
Questo metodo prevede la messa a dimora di piante che variano dalle 1000 alle 2500 ad ettaro a seconda della cultivar e della vigoria. Quest’ultimo è un parametro di fondamentale importanza nella progettazione di oliveto superintensivo.
L’impianto ha un’elevata meccanizzazione e ritmi produttivi che tendono a stressare le piante. Infatti le piante vengono mantenute con chiome piccole e distanziate anche di 3,5 m x 1,2 m a filari paralleli. Ad esempio l’Arbequina, viene coltivata a 4 × 1,5 m (1.667 piante/ha). Come si può intuire le piante avranno piccole dimensioni per tutta la durata del ciclo produttivo.
Raggiungono la piena produzione al 4°-5° anno ca. Richiedono terreni piani o in lieve pendenza.
I costi di gestione sono elevati per l’irrigazione e il sostegno che necessitano ma ovviamente le produzioni ad ettaro saranno molto elevate. Potatura e raccolta vengono eseguite con macchine potatrici e raccoglitrici, come scuotitore e scavallatore.
L’olivicoltura intensiva è un mondo che va gestito oculatamente, grandi estensioni monocolturali riducono la biodiversità e la sostanza organica nel suolo e rischiano di portare ad un impoverimento dei terreni agricoli. Al contrario esistono molte zone del mondo dove queste tecniche possono essere messe in atto se condivise con progetti che permettano di gestire le risorse naturali al meglio.
Aumentare la produttività e l’efficienza dell’olivicoltura è una necessità, rispettare sia le piante che l’ambiente anche, per questo ogni metodologia scelta andrà sempre valutata sulla base delle effettive necessità.
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Bibliografia:
Accademia Nazionale dell’Olivo e dell’Olio Spoleto, 2011. Principali insetti fitofagi e relativi metodi di controllo integrato.
Fontanazza, 2008. Manuale di Olivicoltura. Nuova PromoEdit srl
Proietti e Regni, Manuale per la gestione sostenibile degli oliveti, Olive4Climate, 2019
Immagini
Accademia Nazionale dell’Olivo e dell’Olio Spoleto, 2011. Principali insetti fitofagi e relativi metodi di controllo integrato.